“Meglio questa!” è una commedia che rappresenta l’evoluzione di un'azione unitaria, dove alcuni imprevisti colpi di scena inceppano il tipico svolgimento di una brillante commedia dialettale. Il meccanismo strutturale dell'opera è quello delle scatole cinesi, in cui ogni verità che sembra definitiva si apre ad ulteriori sviluppi che la rendono vana e tutto, alla fine, risulterà essere un paradossale tentativo di attirare l'attenzione sulla compagnia da parte della stampa e dell’opinione pubblica: una giornalista infatti cade nella trappola e questa è l'unica cosa "vera" di tutta la vicenda. Quelli che nel corso degli eventi sembrano essere nemici arroccati su sponde opposte, alla fine si rivelano essere un'unica "banda" decisa a tutto pur di raggiungere il proprio scopo: sopravvivere alla crisi economica che attanaglia la compagnia e continuare a fare teatro in condizioni migliori. Insomma, una travolgente catena d'apparenti verità destinate a rivelarsi infondate tranne che al momento dell'esito finale, quando la commedia si rivela essere una descrizione satirica della società fondata sul sensazionalismo a tutti costi, dove una notizia è tanto più vera quanto più eclatante.
A farne le spese, in questa occasione, è un'arte "timida" come quella del teatro, di per sé così aliena da sensazionalismi di ogni tipo, che per farsi largo è costretta a cercare compromessi con uno stato di cose estremo e delirante. E' questa infatti l'altra tematica che emerge: il teatro è schiacciato da un progressivo rincorrere la notizia “bomba” da prima pagina. Mentre invece il teatro vive di rapporti umani semplici, forti e coinvolgenti e riesce ancora a trovare uno spazio vitale grazie a quell'arte d'arrangiarsi che fu sperimentata nel corso dei secoli da generazioni di attori girovaghi, comici e guitti. Il pubblico è coinvolto da una serie di esilaranti colpi di scena che mantengono alta la tensione dall'inizio alla fine, così come pure il livello comico. La separazione fra scena e sala è completamente annullata, favorendo invece un'estrema mobilità degli attori tra i due spazi che, pur restando architettonicamente separati, cessano di esserlo dal punto di vista drammaturgico.